Equazione bicicletta – felicita`: ecco le prove

blog marcge abr

L’ho sempre detto e pensato, la bicicletta, prima di essere un mezzo di trasporto – il più efficiente che l’uomo abbia mai creato – è soprattutto una porta per la felicità. Il perché è presto detto: pedalare a cavallo delle due ruote ci riporta agli anni lontani dell’adolescenza, all’ebbrezza della velocità, alla seduzione del rischio da equilibrista improvvisato, alla libertà conquistata e che apre le porte dello spazio finito di un cortile condominiale. Pedalare, oltre agli echi ludici e nostalgici del passato, è anche gioco, socializzazione, interazione con l’ambiente che ci circonda, piacere per il mondo che ci rimbalza sul viso. Il movimento e l’esercizio fisico inoltre migliorano la circolazione, bruciano calorie mantenendoci in forma, creano endorfine regalando benessere psicofisico al nostro organismo. Tutt’altra cosa rispetto all’isolamento obbligato dell’automobile, o alle sensazioni da palombaro che provano i motociclisti. Per non parlare delle sciagure quotidiane che affliggono i disgraziatissimi pendolari dei mezzi pubblici.

La mia prima bicicletta, tutta mia intendo, la ottenni verso i dieci-undici anni. Prima di allora usavo quella di mia madre, una Graziella pieghevole che grazie al suo snodo centrale entrava facilmente in ascensore. Andai a comprarla con mio padre presso il negozio di un “ciclista” (così si chiamano in gergo gli esercenti che riparano e vendono biciclette nuove e usate). Questi era un tizio grassoccio, semicalvo, con lo sguardo un po’ losco, e indossava una salopette blu alla Cipputi. Era il ciclista di “fiducia” di un collega di mio padre, e – a suo dire – era stato un grande atleta oltreche` una persona di specchiata onesta`. Ci mostrò una serie di biciclette d’occasione e dopo lungo tira e molla sul prezzo, acquistammo una Atala azzurra da passeggio con cambio a sei marce. Più di quanto potessi mai sperare. Tornando verso casa in sella al mio nuovo bolide, mi pareva di volare. In realtà si trattava di un bel “cancello” (altra espressione tipica del gergo ciclistico), ma come prima bicicletta poteva andar bene. L’unica cosa che dovetti fare d’urgenza, fu cambiare i copertoni: erano talmente consumati che in più punti spuntava la camera d’aria. Ovviamente di questa usura da niente ce n’accorgemmo solo dopo essere tornati a casa: come era giusto che fosse…!

Su questa bicicletta i miei orizzonti si allargarono in maniera definitiva e il Parco di Monza, per esempio, divenne una delle prime conquiste: sette chilometri, tanta era la distanza che separava il luogo dove abitavo da questa meravigliosa oasi di natura. Io e la mia Atala diventammo inseparabili. Di bello aveva che, pur essendo utile e funzionale, non aveva alcuna velleità da gran dama: non era appariscente, né suscitava sentimenti d’invidia o brama di possesso. Ed è per questo che, a differenza delle biciclette superlusso dei miei amici, essa non fu mai oggetto di furto. Potevo lasciarla ovunque, senza precauzioni particolari, ed ero certo che al mio ritorno l’avrei ritrovata. Al mio amico Marco Rudello invece, negli anni delle scuole superiori, rubarono impunemente la bellezza di tre mountain bike nuove di zecca.

Furono più di dieci gli anni di onorato servizio della bicicletta azzurra Atala. Nel ’98 ne acquistai un’altra, una city-bike con cambio Shimano a diciotto velocità. Per lungo tempo fui tentato di portare la vecchia bici in discarica, ma ogni volta mi mancava il coraggio. Poi un giorno, rispondendo ad un ragazzo senegalese che bussava a casa per vendere qualche mercanzia, mio padre ebbe l’illuminazione: prese la bicicletta ormai appesa al chiodo e, dopo aver chiesto il mio parere, gliela offerse in regalo. Per quel ragazzo fu un dono gradito e inaspettato; per me la consapevolezza di averla salvata dall’oblio.

Ma tornando al punto di partenza, ovvero la relazione tra bicicletta e felicità, recenti indagini comparate tra di loro hanno dimostrato che l’assunto è tutt’altro che campato per aria: stando ai dati raccolti ed elaborati dalla European Cyclists’ Federation, i Paesi in cui si pedala di più sono anche quelli che occupano una posizione più alta nella classifica riportata nel World Happiness Report, ovvero la graduatoria delle nazioni più felici. E così, per esempio, si scopre che sul gradino più alto si colloca la Danimarca, ovvero la nazione in cui la bicicletta è il mezzo di trasporto più utilizzato. A ruota seguono l’Olanda, la Svezia e la Finlandia, paesi in cui le vendite delle biciclette sono altissime, l’attenzione e la sicurezza dei ciclisti è imperativo categorico ed il cicloturismo una realtà diffusissima. L’Italia purtroppo rimane ancora molto indietro rispetto a queste realta` del Nord Europa, e purtuttavia qualcosa ci fa ben sperare: il dossier di Legambiente uscito a fine dicembre, conferma un aumento significativo degli spostamenti in bici e una maggiore attenzione alla mobilità sostenibile da parte dei cittadini. A settembre 2020 gli spostamenti a due ruote sono aumentati del 27,5% rispetto allo stesso mese del 2019, e con 193 chilometri di nuove piste ciclabili realizzate dopo il lockdown c’e` l’impressione che anche il nostro paese stia invertendo la tendenza (Il Sole 24 Ore, 6 gennaio 2021). In tutto cio` c’entra qualcosa la pandemia, ovviamente. Ma non tutti i mali vengono per nuocere, soprattutto in questo caso.

Ma al di là dell’aspetto “felicità”, emergono altri dati che non dovrebbero lasciare indifferenti data la situazione economica: stando sempre alla European Cyclists’ Federation, i benefici derivanti dall’uso della bicicletta nei 27 Paesi dell’Unione europea ammonterebbero a diverse centinaia di miliardi di euro all’anno (minori spese, benefici sulla salute e minore mortalità, riduzione del traffico, abbassamento delle emissioni nocive et). Un’altra buona ragione per lasciare l’auto a casa e inforcare le due ruote (a pedali).

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